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Commercio internazionale di PFU e inquinamento, l’Italia al 2° posto

Il corretto smaltimento o recupero dei rifiuti è una delle grandi sfide dei nostri tempi, ma purtroppo più una sfida è complessa e costosa, più si trovano delle vie di fuga, approfittando dei Paesi meno ricchi ed evoluti. E’ quello che avviene anche per i pneumatici fuori uso, coma dimostra un’indagine pubblicata lo scorso ottobre da Reuters.

L’episodio da cui è scaturito l’approfondimento di questo tema è stato un caso di avvelenamento di massa, avvenuto in Malesia, in un villaggio vicino a diversi impianti di pirolisi. Questo episodio ha infatti portato alla luce un fenomeno in grande scala di esportazione dei PFU, provenienti soprattutto dall’Europa e dagli Stati Uniti, verso l’India (primo mercato d’importazione con 631,9 milioni di chili nel 2018, pari al 32% del totale) e, a seguire, verso Corea del Sud e Turchia.

Quello che sorprende e dispiace di più è vedere che, se il Regno Unito è in assoluto al primo posto tra i Paesi d’esportazione, l’Italia è al secondo, seguita dagli Stati Uniti.

Per avere un’idea della dimensione e del trend del fenomeno, basti pensare che nel 2018 le importazioni indiane di pneumatici da smaltire provenienti dal Regno Unito sono state 263mila tonnellate, il 13 per cento circa del volume complessivo dei PFU commercializzati in tutto il mondo. Nel 2013 erano state 48mila tonnellate.

I dati raccolti da Reuters, sentendo Nazioni Unite e autorità doganali, includono naturalmente anche tutti i PFU che vengono correttamente inviati a impianti di riciclo a norma. Rimangono tuttavia rilevanti le quantità dirette ai numerosi impianti di pirolisi non a norma, che si sono diffusi in questi anni, per via della disponibilità di attrezzature economiche di produzione cinese e della debolezza delle normative internazionali. Da un lato, il costo di un’attrezzatura cinese si aggira attorno ai 27-30mila euro a fronte di investimenti molto più sostanziosi per costruire degli impianti a norma. Dall’altro, la convenzione di Basilea, che regolamenta il commercio dei rifiuti pericolosi, non prende in considerazione i pneumatici.

La domanda di combustibile per fornaci industriali, in Paesi come l’India, è aumentata considerevolmente e molti Paesi industrializzati hanno evidentemente trovato più economico spedire le gomme all’estero anziché smaltirle internamente. Secondo i dati pubblicati da Reuters, infatti, il commercio internazionale di gomma da smaltire nel 2018 è cresciuto a quasi due milioni di tonnellate, l’equivalente di 200 milioni di pneumatici, mentre nel 2013 si era attestato su 1,1 milioni di tonnellate.

Lo stesso governo indiano ha svolto un’ispezione per comprendere la vastità del fenomeno della pirolisi non a norma e ha rilevato, a luglio dello scorso anno, che in tutto il Paese c’erano 637 impianti di pirolisi autorizzati, di cui 270 non conformi agli standard ambientali. Il Governo ha fatto chiudere 116 strutture.

Una volta arrivati in India, i PFU si disperdono tra imprese di riciclo che li utilizzano nella costruzione di strade o campi sportivi, aziende che li bruciano per ottenere combustibili a buon mercato per fabbricare cemento o mattoni e impianti di pirolisi legali e illegali. È questa la situazione descritta tanto dagli importatori quanto dagli esportatori.

I primi ravvedimenti

L’anno scorso, l’Australia, tra i primi esportatori di PFU in India e nel sudest asiatico, ha dichiarato di voler proibire l’esportazione di rifiuti, compresi i pneumatici, ma non ha reso noti ulteriori dettagli o tempistiche, dichiarandosi “consapevole delle accuse di una modalità non sostenibile di smaltimento di pneumatici usati in alcuni paesi di importazione” e affermando di non voler più “partecipare a queste pratiche”.

Lo stesso dipartimento britannico per l’ambiente, l’alimentazione e le questioni agricole (Defra) ha dichiarato voler lavorare per far crescere il senso di responsabilità degli attori coinvolti nello smaltimento dei PFU e il monitoraggio delle spedizioni.

Rimane tuttavia pesante la denuncia di questa pratica illecita e pericolosa, che Reuters riassume, citando in chiusura del suo articolo, le parole di un imprenditore indiano: “Ripuliscono il loro paese e scaricano i rifiuti qui da noi”.

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