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Vittorio Marangoni: l’evoluzione del Gruppo, i macro trend della ricostruzione e la strategia commerciale

È iniziata – ci auguriamo – l’era della ricostruzione. Se uno dei temi oggi imprescindibili, a tutti i livelli, è la sostenibilità ambientale, nel settore dei pneumatici non si potrà non prendere in considerazione la ricostruzione che, dopo anni di difficoltà e un retaggio di scarsa affidabilità, potrebbe finalmente vivere il suo momento di gloria. La trasformazione è infatti culturale, oltre che economico, e impone ormai a tutte le aziende un concreto cambiamento dei modelli di business.

Ne abbiamo parlato con Vittorio Marangoni, il cui cognome è sinonimo di ricostruzione. Oggi infatti il Gruppo, di cui è Presidente dal 2016, conta 8 stabilimenti produttivi, 1.000 dipendenti, 12 uffici commerciali, 11 brevetti attivi ed è presente in 100 Paesi.

Come è cambiato il Gruppo Marangoni in questi ultimi anni?

Abbiamo vissuto in questi anni un’enorme trasformazione del nostro Gruppo: da un’azienda diversificata a 360 gradi in ogni singolo segmento dell’industria del pneumatico, dal nuovo alle mescole, oggi siamo diventati un gruppo focalizzato unicamente nel mondo della ricostruzione. Perché vogliamo essere specialisti e leader in questo segmento.

Per realizzare questa profonda trasformazione abbiamo separato, con appositi spin-off, tutte le attività che non erano prettamente inerenti alla ricostruzione e abbiamo, invece, tenuto e sviluppato l’intera filiera della ricostruzione, partendo dallo sviluppo e dalla progettazione di macchinari e mescole, fino ai prodotti prestampati, alla ricostruzione in sé, alla distribuzione, ai negozi e ai servizi. Oggi rappresentiamo, dalla A alla Z, tutta la filiera della ricostruzione, perché il vero valore di questo business è sapere come funziona. La ricostruzione è un settore molto complesso e occuparsi solo di una parte della filiera può rendere miopi. Conoscerla invece tutta, significa avere una marcia i più ed è effettivamente quello che ci riconoscono un po’ in tutto il mondo. Per tutti questi motivi, oggi stiamo puntando con determinazione in questa direzione.

Come si inserisce questa focalizzazione del Gruppo sulla ricostruzione nel contesto socio-economico attuale?

Non c’è dubbio che la nostra scommessa sia basata molto anche sui trend che si sono innescati relativamente alla questione ambientale: oggi è evidente la necessità del risparmio di risorse e di materie prime e della decarbonizzazione. In questo contesto, la ricostruzione dei pneumatici è un modello di assoluto rilievo, perché sposa perfettamente tutti questi concetti.

Se, poi, a questo aggiungiamo quello che sta succedendo nel mondo negli ultimi anni, la ricostruzione assume un valore ancora più strategico.

Il Covid ne è un esempio: avendo i produttori delocalizzato la produzione massivamente ed essendoci ormai pochissime industrie di produzione di penumatici in Europa, con il Covid non era più possibile ricevere la merce da oltreoceano e l’unica risposta alle necessità del mercato è stata proprio la ricostruzione.

Venendo a tempi ancor più recenti, la guerra in Ucraina ha portato a una serie di sanzioni verso la Russia che, oltre ad impedire la commercializzazione dei pneumatici, sta colpendo seriamente anche le materie prime. Nelle gomme ci sono, infatti, tre principali componenti: la gomma sintetica, il carbon black e la gomma naturale. Gli approvvigionamenti europei dei primi due elementi arrivavano, fino a ieri, per il 40% circa dalla Russia. Oggi, però, sono stati sanzionati: al momento c’è un contingente all’importazione, ma entro quest’anno verranno proibiti e quindi tutte le forniture dovranno provenire da altre fonti.

A questo già complesso scenario si è ora aggiunta la crisi del Mar Rosso, che sta creando disagi logistici alle merci provenienti dall’Asia ed è risaputo che buona parte della gomma arriva proprio dal sud-est asiatico.

Tutte queste situazioni fanno sì che più gomma riusciamo a recuperare in Europa, più ci rendiamo indipendenti da queste crisi ed ecco che la ricostruzione torna ad essere un valore molto interessante e assolutamente strategico. Sulla base di questi fattori, noi continuiamo a crederci e a spingere sempre di più in questa direzione.

Le normative europee sulla mobilità sostenibile potranno offrire un ulteriore assist alla ricostruzione?

Le normative europee sono molto spinte nella direzione della sostenibilità e sono anche molto attuali: tanto per cominciare, dal 2025 diventerà obbligatorio il bilancio di sostenibilità. Ciò significa che tutte le aziende dovranno andare a calcolare il loro impatto ambientale e, per farlo, dovranno risalire lungo tutta la filiera e capire da dove deriva il loro impatto. È chiaro che più ci si posiziona a valle della filiera, più diventerà complesso fare queste analisi, se non impossibile, se non con la collaborazione dei fornitori.

Per questi motivi, noi oggi stiamo lavorando per valutare l’entità del nostro impatto ambientale e di quello dei nostri prodotti, in maniera da poter fornire queste informazioni ai nostri clienti, mettendoli nella condizione di redigere il loro bilancio di sostenibilità e, soprattutto, di dimostrare il loro impegno concreto nella scelta di prodotti sostenibili.

Quanto un pneumatico ricostruito è più sostenibile di uno nuovo?

Gli studi su questo tema sono davvero molto interessanti. Il primo, che abbiamo realizzato con la collaborazione del Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Trento, ha valutato il Life Cycle Assessment del pneumatico ricostruito. I risultati sono di tutto rilievo. Anche se per noi sono abbastanza noti, vedere i numeri certificati da un ente terzo indipendente fa abbastanza effetto: parliamo di una riduzione di almeno il 70% delle emissioni di CO2 e di altri fattori di inquinamento ambientale. Avere la disponibilità di questi dati è chiaramente un importante contributo per calcolare l’impatto ambientale delle attività del settore.

Ma un ricostruito è performante quanto un nuovo?

Un altro tema su cui stiamo lavorando è la rolling resistance, che ha un forte impatto ambientale soprattutto sull’autonomia dei mezzi elettrici. Anche in questo caso, abbiamo fatto una serie di test per avere dati oggettivi e per sfatare il mito che il penumatico ricostruito performi peggio del pneumatico nuovo.

L’obiettivo era offrire un pneumatico ricostruito, che avesse la migliore rolling resistence migliore in assoluto. Siamo naturalmente partiti da una buona carcassa e poi abbiamo lavorato sul battistrada, che ha un’incidenza determinante di circa il 60% nella resistenza al rotolamento. Grazie a nuovi disegni e a mescole studiate appositamente, siamo riusciti ad avere un rapporto di 3,83 N/kN. In termini di rating nell’etichetta di un pneumatico nuovo, per poter dichiarare una resistenza al rotolamento di classe A, bisogna rimanere sotto i 4 N/kN. Ci siamo riusciti anche con un pneumatico ricostruito ed è stato un risultato straordinario, che ha sbalordito noi stessi, tanto che abbiamo fatto testare il pneumatico dal Prüflabor Nord, per ben due volte. Il risultato si è confermato al di sotto dei 4 N/kN.

Questo traguardo è molto importante, per il settore intero, per sfatare la falsa opinione comune sulla scarsa qualità dei ricostruiti, e andare in direzione dell’eccellenza. Ed è ancora più importante se consideriamo che è in arrivo la normativa Euro 7, che valuterà i parametri di inquinamento dei mezzi, sì con il motore a combustione, ma anche e soprattutto di quelli elettrici, per i quali i principali fattori di inquinamento saranno i freni e i pneumatici. È questa la direzione verso cui sta andando il mercato ed è oggi più che mai fondamentale scegliere pneumatici che abbiano una bassa rolling resistance, ossia un basso coefficiente di abrasione, in modo da rilasciare meno polvere di gomma sull’asfalto.

Alla luce di questa trasformazione del Gruppo e dei principali macro trend che ci ha descritto, come si declina oggi la strategia commerciale di Marangoni?

Oggi ci stiamo integrando, il più possibile, nelle divisioni che sono diventate verticali nella filiera, cercando di costruire rapporti commerciali corretti, evitando di andare in conflitto nei casi in cui siamo sia fornitori che concorrenti. Il nostro obiettivo è trovare il modo per integrare questi aspetti e abbiamo già iniziato a lavorare in questa direzione, soprattutto in Italia, dove abbiamo una presenza che si sovrappone. Dove possibile cerchiamo di instaurare relazioni commerciali che ci permettano di cedere una presenza diretta sul mercato e assumerla, invece, indirettamente come fornitori o vice versa.

Stessa strategia applichiamo a livello europeo, dove talvolta integriamo la gamma dei nostri clienti ricostruttori con i ricostruiti a caldo, che loro non fanno, e con pneumatici nuovi per i quali magari possiamo avere delle condizioni di fornitura interessanti.

Non ci fermiamo però in Europa, il nostro sguardo è rivolto a tutto il mondo. Oggi siamo fortissimi nell’Africa Subsahariana, con quote incredibili attorno al 70-80% e, da lì, stiamo cercano un ponte per sbarcare in Asia. Abbiamo iniziato con l’India, un Paese che si trova nella fase di sviluppo ideale per il ricostruito, con un mercato che si sta radializzando e ricostruttori che si vogliono industrializzare. È il momento perfetto per offrire sistemi di ricostruzione più professionali e prodotti di qualità. Negli ultimi anni stiamo crescendo molto bene; oggi la nostra presenza è prevalentemente commerciale, ma prevediamo a breve di sviluppare anche una presenza produttiva.

Per quanto riguarda, infine, le Americhe, abbiamo stabilizzato la situazione e stiamo lavorando con forme di licensing: la produzione è demandata, diamo il marchio in licenza e offriamo il supporto tecnico e operativo.

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