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La Germania, il gigante dai piedi d’argilla?

“Il vantaggio competitivo delle aziende tedesche nel confronto internazionale è storia. Compensare gli svantaggi in termini di costi con vantaggi in termini di qualità non è più possibile. Il divario nella concorrenza sui prezzi è diventato troppo grande.”

Lo ha detto, qualche mese fa, Michael Berthel, responsabile delle statistiche economiche di wdk, l’Associazione tedesca dell’industria della gomma.

Qualche giorno prima Superior Industries, o meglio la consociata tedesca Superior Industries Production Germany, che produce tra gli 800.000 e il milione di ruote all’anno nello stabilimento di Werdohl, ad aprire la procedura di insolvenza. Il motivo? I costi produttivi troppo alti in Germania.

Majdi Abulaban, presidente e amministratore delegato di Superior Industries, nell’annunciare la procedura ha fatto notare le enormi differenze tra Germania e Polonia (l’azienda ha uno stabilimento in entrambi i paesi) dal punto di vista produttivo. I prezzi dell’energia in Germania sono tra i più alti d’Europa – più del doppio di quelli della Polonia nel 2022 – e questo, insieme a fattori come la diminuzione della produzione di veicoli, negli ultimi tempi ha causato problemi a Superior Industries Production Germany.

Qualche settimana fa, invece, Michelin ha informato i dipendenti di aver avviato dei colloqui con i comitati aziendali e i sindacati dei dipendenti nelle sue sedi di Karlsruhe, Treviri e Homburg. Non è ancora noto se Michelin intenda razionalizzare le proprie attività in queste sedi o chiuderle del tutto, ma secondo il sindacato industriale per l’estrazione mineraria, la chimica e l’energia (IGBCE) è un taglio di posti di lavoro che potrebbe interessare fino a 1.500 dipendenti di Michelin in Germania.

“Michelin Deutschland ha avviato le consultazioni con le parti sociali, sullo sfondo della crescente pressione competitiva e dell’aumento dei costi di produzione e amministrativi in ​​Germania”, ha detto alla nostra testata tedesca Reifenpresse.de Maira Zöller, responsabile delle pubbliche relazioni di Michelin per il Nord Europa. “L’oggetto di queste consultazioni è la situazione competitiva e la riduzione della produzione negli stabilimenti Michelin di Karlsruhe e Treviri, nonché la produzione di nuovi pneumatici e la fabbricazione di semilavorati a Homburg.”

La diminuzione della produzione di veicoli è uno dei motivi indicati da Goodyear, insieme proprio ai costi energetici e a quelli dei salari, per spiegare la ristrutturazione nell’area Emea, di cui si parla da mesi e che è stata finalmente e approfonditamente spiegata in questa intervista con David Anckaert, Vice President Consumer PBU EMEA.

E anche se non ci sono ancora numeri ufficiali, anche Continental ha deciso ulteriori misure di razionalizzazione, non a livello europeo ma in tutte le regioni e a tutti i livelli dell’organizzazione. L’esatto numero di posti di lavoro interessati a livello globale non è ancora stato deciso, ma indiscrezioni della stampa tedesca parlano di 5.000 posti di lavoro a livello globale e un quinto di questi in Germania.

Cos’hanno in comune, quindi, Superior Industries, il sindacato wdk, Michelin, Continental e Goodyear? La Germania. Questa nazione, un tempo centrale manifatturiera e faro economico dell’Europa, oggi rischia la deindustrializzazione, ovvero la delocalizzazione delle grandi aziende manifatturiere, di cui Superior Industries, Goodyear e Michelin sono solo due esempi più recenti nel nostro settore. Un altro ancora è lo stabilimento Continental di Gifhorn, che cesserà l’attività entro il 2027 a causa della forte pressione sui costi.

Goodyear, primo produttore di pneumatici in Germania, ha apertamente ammesso di dover ridurre la capacità produttiva ad alto costo: l’azienda americana ha, secondo le sue stesse stime, il 50% di produzione Emea in paesi ad alto costo. Il secondo produttore premium con la percentuale peggiore è al 40%, mentre il migliore è al 20%. Afferma anche di non poter escludere, al momento, la chiusura totale di una o più fabbriche tedesche.

Le aziende energivore tedesche sono state prese in contropiede dalla guerra in Ucraina e dal conseguente taglio della fornitura del gas a basso costo dalla Russia. Il governo tedesco ha successivamente ammesso di aver commesso un errore nell’affidarsi alla Russia per la fornitura di gas attraverso i gasdotti Nord Stream sotto il Mar Baltico, che sono stati chiusi e danneggiati a causa della guerra. Chi ne fa le spese, però, sono aziende e dipendenti.

Suscita perplessità, comunque che nell’Unione Europea ci possano essere differenze così importanti nei costi energetici tra due paesi geograficamente vicini come Germania e Polonia. Lo stesso vale per i salari e le tasse. L’Unione Europea non sarà mai una vera unione fino a che ci saranno disparità così marcate al suo interno, tanto da spingere le aziende a chiudere fabbriche in un paese per aprirne altre in uno più economico, a 200 km di distanza.

Oggi la Germania è in recessione, mentre Spagna, Francia e Italia sono in crescita. Non tutto è perduto però: l’occupazione tedesca è ai massimi livelli e le finanze statali sono solide, ma serve agire velocemente per contrastare i prezzi dell’energia e sbloccare l’approvazione dei progetti di energia rinnovabile, di cui c’è grande bisogno. Di recente, comunque, i salari sono aumentati a causa dell’inflazione, i prezzi dell’energia sono diminuiti e le aziende hanno parzialmente trasferito i costi più elevati, quindi il potere d’acquisto sta tornando.

Ci si aspetta, quindi, un attenuamento della flessione a livello generale tra la fine dell’anno e l’inizio del 2024, ma i dubbi sul settore automotive rimangono: il panorama automobilistico europeo sta cambiando e la Germania, con i suoi storici produttori, non è più al centro del mercato come una volta.

Stanno arrivando le case costruttrici cinesi, che hanno trovato le porte del mercato europee spalancate dall’elettrico. Una situazione che il settore pneumatici – quella della convivenza con i produttori orientali – conosce bene e, paradossalmente, a cui è già abituato da diversi anni ormai. Forse, per una volta, possiamo insegnare qualcosa al settore automotive?

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