PFU e recupero della materia: l’opportunità delle acciaierie
Greentire, uno dei consorzi italiani che si occupano della gestione dei PFU, ha sempre puntato al recupero della materia, piuttosto che al recupero dell’energia, ed è proprio nel rispetto di tale mission che i progetti di ricerca e sviluppo hanno come obiettivo trovare nuovi impieghi per i derivati degli pneumatici. Ne abbiamo parlato con Roberto Bianco e Paolo Bucher, rispettivamente presidente e responsabile ricerca e sviluppo di Greentire.
A che punto è l’Italia con la sensibilità per l’economia circolare?
Roberto Bianco: Credo che ancora manchi un po’ di sensibilità, soprattutto nelle generazioni più mature e avanti con gli anni. I giovani, invece, sono più propensi ai comportamenti ecosostenibili, perché per loro sono molto più naturali e istintivi. Un po’ come accade con l’utilizzo della tecnologia.
Grazie a tale loro predisposizione, stiamo lavorando molto con le scuole e con il Ministero dell’Istruzione, che ci ha accreditati per il programma “RiGenerazione Scuola”, che pubblica una serie di iniziative, tra cui quelle di Greentire, per proporle alle scuole di tutta Italia. Non vorrei passare per pessimista, ma credo che i risultati, in termini di condotte di vera economia circolare, li vedremo probabilmente solo con la prossima generazione.
Voi sostenete che non si fa ancora abbastanza per recuperare la materia dai PFU. Perché?
Roberto Bianco: In generale, la percentuale di recupero della materia è ancora molto bassa, rispetto a quello che è il recupero di energia. La giustificazione che sento più spesso è che si ritiene che non ci siano applicazioni sufficienti sul mercato in grado di assorbire gli enormi quantitativi di gomme a fine vita. E che il recupero della materia possa essere un obiettivo primario solo per realtà come Greentire, che raccoglie “solo” circa il 10% dei PFU generati in Italia. Se davvero fosse questa l’obiezione, però, noi abbiamo in serbo un progetto, o meglio una soluzione già concreta, che potrebbe consentire una svolta significativa nel mercato del recupero.
Il recupero è anche l’obiettivo finale della Comunità Europea?
Paolo Bucher: È fondamentale distinguere tra la responsabilità estesa del produttore, così come declinata dai decreti attuativi nazionali, e l’aspetto morale. La prima è un obbligo di legge, a cui tutti, bene o male, si sono conformati. Il secondo, invece si rifà alle direttive della Comunità Europea, che spiegano chiaramente quali siano le priorità del riciclo:
- produrre meno rifiuti,
- riutilizzare il più possibile,
- recuperare la materia riciclando,
- recuperare l’energia,
- discarica.
Qual è la mission di Greentire?
Paolo Bucher: Greentire nasce stimolata da un sistema che, già prima del 2011, faceva proprio questo: valorizzare il recupero della materia anziché mandare a termovalorizzazione. Abbiamo sposato questa missione e quindi oggi mandiamo oltre il 90% dei PFU raccolti a recupero della materia. È questo che ci distingue nettamente dagli altri consorzi.
I nostri progetti sono quindi sempre tesi a far crescere il mercato di sbocco e a sostenere, in particolare, i soggetti che lavorano nel mercato di sbocco. Il nostro obiettivo è che, non tanto Greentire, ma chi impiega i materiali di recupero possa contare in un mercato di destinazione sempre più grande e, soprattutto, sempre più stabile.
Quali sono i mercati di sbocco della materia di recupero da PFU?
Paolo Bucher: Questi mercati sono cambiati negli anni: all’inizio ci si rivolgeva prevalentemente alla produzione di manufatti, come piste di atletica o asfalti; poi c’è stato il boom dei campi da calcio in erba artificiale e delle piastrelle per i parchi gioco.
Qual è la novità a cui accennava il Presidente e che potrebbe essere davvero una svolta?
Paolo Bucher: La nuova applicazione che oggi potrebbe portare ad una svolta, in termini di assorbimento quantitativo dei PFU, è un prodotto che viene utilizzato in acciaieria, come schiumogeno.
Tradizionalmente le acciaierie usano schiumogeni di natura carboniosa come antraciti e pet-coke, ma in questo momento, soprattutto in Italia, si stanno delineando utilizzi di prodotti alternativi. Gli aumenti delle materie prime, la guerra tra Russia/Ucraina (entrambe grandi esportatrici di prodotti carboniosi per tutta la fascia sud-europea) ed, inoltre, la forte domanda di questo prodotto per altri impieghi, hanno fatto sì che il prezzo sia molto lievitato. In sostituzione degli schiumogeni sopra indicati, può essere utilizzato il granulato di gomma da PFU, in specifiche granulometrie.
Di che volumi parliamo?
Paolo Bucher: Un’acciaieria di (piccole) medie dimensioni consuma fino a 5.000 tonnellate di questo prodotto all’anno. Se pensiamo alle acciaierie distribuite nel territorio nazionale, stiamo parlando di un volume davvero importante.
Certo, tra l’idea di utilizzare questo prodotto, inizialmente testato/brevettato da una ricercatrice in Australia, e riuscire ad ottenere i contratti per poterlo fare concretamente c’è una grande differenza. Tuttavia, c’è già un’acciaieria della provincia di Brescia, in Lombardia, che utilizza ormai continuativamente lo schiumogeno da PFU nel proprio processo fusorio e diversi test sono attualmente in corso in altri siti produttivi italiani. Si sta anche definendo quanto risparmio in produzione di CO2 derivi dall’utilizzo dei PFU, ma è ancora prematuro dare dati a riguardo. Siamo molto ottimisti per il futuro in quanto già oggi esiste un brevetto per l’impiego e l’iniezione dello schiumogeno.
Perché questa applicazione in acciaieria sarebbe migliore rispetto ad altre applicazioni?
Paolo Bucher: Molti dei progetti che vengono presentati, in realtà, non si rivolgono concretamente ad un mercato. Faccio un esempio: se da un PFU recupero della gomma, che poi viene re-inserita, seppur in minima parte, in uno pneumatico nuovo, oltre ad avere problemi di disomogeneità per via delle mescole completamente diverse, in questo momento non ho un mercato a cui rivolgermi. Sì, può essere un’idea per il futuro, ma al momento è un progetto abbastanza irrealizzabile.
Se invece pensiamo al recupero chimico degli pneumatici, che funzionano con granulato di gomma, bisogna trasformare il PFU in un olio o un gas, che sono prodotti pericolosi, o in un carbon black, che ha gli stessi problemi di disomogeneità che ha la gomma. Diverso sarebbe il discorso se l’olio potesse essere utilizzato come plastificante (uno dei progetti in corso di Pyrum con BASF), ma pensare di trasformare un prodotto non pericoloso, come il PFU, in un prodotto pericoloso non è logico.
Insomma, chiamarli processi virtuosi, quantomeno oggi e per i prossimi anni, è un po’ azzardato.
A che punto siamo oggi con la transizione ecologica?
Roberto Bianco: Oggi la transizione ecologica rischia seriamente di essere sospesa. Vedo in questa fase storica un grosso pericolo, perché i riflettori sono puntati anche sui PFU, come possibile soluzione del problema energetico. La gomma è un rifiuto abbastanza facile da bruciare e, con la crisi, c’è il rischio di vanificare tutti gli sforzi fatti fino ad oggi per il recupero della materia. È un momento pericoloso.
Paolo Bucher: Lo stesso Ministero della Transizione Ecologia avrebbe potuto fare di più: non capiamo come mai un decreto, che dovrebbe avere un obiettivo ecologico, non contenga nulla al suo interno, che promuova le operazioni virtuose, salvo un allegato, che prevede la dichiarazione di quanto un consorzio destini al recupero energetico e quanto al recupero della materia. Null’altro.
Che futuro auspicate per il recupero dei PFU?
Roberto Bianco: Idealmente, le società consortili, da qui a un certo numero di anni, non dovrebbero più esistere, perché, se facessero bene il loro lavoro, la materia recuperata acquisterebbe valore e non sarebbe più necessario un soggetto atto a gestire i flussi e promuovere il mercato.
Paolo Bucher: Quando noi facciamo gli accordi con gli impianti di recupero, chiediamo loro chiaramente di fare il recupero della materia. Se riescono a venderla, bene, altrimenti oggi abbiamo, oltre ai mercati esistenti, questa risorsa dello schiumogeno per le acciaierie, che consente loro di entrare in un nuovo ed efficace circuito di valorizzazione del prodotto.
Un altro vantaggio dell’utilizzo della materia in acciaieria è che, a differenza degli altri mercati, come ad esempio i campi da calcio, che sono molto stagionali, questo è un mercato ‘facile’, che non ha picchi e non ha necessità di stoccaggio.