Il partenariato tra Case e rivenditori è una direzione obbligata? L’analisi di Massimo Andreoni
Una delle tendenze più marcate degli ultimi anni, nel settore dei pneumatici, è la crescita delle proposte di partenariato tra le Case produttrici e i rivenditori, un legame che molti considerano vincente, che altri fuggono e che altri ancora vedono come un grande punto di domanda. E la decisione diventa particolarmente difficile quando le proposte sono molte e pressanti.
Ne abbiamo parlato con Massimo Andreoni, consulente aziendale (in strategia, organizzazione, gestione del personale e formazione) con una consolidata esperienza nell’ambito di marketing e commercio, in buona parte maturata proprio nel settore industriale dei pneumatici, per capire se davvero ‘affiliarsi’ a qualcuno è diventato ormai obbligatorio e, nel caso, come saper scegliere la proposta più adatta alle proprie esigenze.
Si moltiplicano e rafforzano le iniziative di partenariato tra case e rivenditori: è una direzione obbligata?
Obbligata in senso stretto no, ma utile certamente sì, sia per le case che per molti rivenditori.
Qual è l’obiettivo di una casa che investe in partenariato con i propri clienti?
In priorità, la fidelizzazione dei clienti migliori. Oggi la fedeltà dei rivenditori alle case non è più stabile come in passato, perché sono aumentate le tentazioni o le motivazioni che giustificano la volatilità.
Un tempo le relazioni tra case e clienti erano spesso fondate su un sentimento di fiducia reciproca che andava anche al di là di logiche strettamente economiche: i contesti di mercato più tranquilli lo potevano permettere. Questo decennio contrastato ha invece spinto i rivenditori a politiche più attente di sostegno di una economicità sotto pressione, tra cui appunto la diversificazione delle fonti di acquisto per massimizzarne la convenienza, ma anche la forte riduzione dei prodotti in stock ed un focus su marchi poco conosciuti ma meno battagliati e quindi con marginalità significative.
Il digitale è stato il grande facilitatore di questa evoluzione, perché l’accesso alle numerose piattaforme on line, con visibilità su ogni opzione possibile di gamma prodotti, prezzi, condizioni di consegna ha aiutato questo sforzo dei rivenditori verso l’economicità quotidiana, intaccando le fedeltà di lungo periodo verso fornitori storici.
Il partenariato è un freno a questo fenomeno?
Forme di partenariato nascono ben prima della crisi, ma il contesto odierno li rende ancora più importanti nella difesa della stabilità della relazione casa-rivenditore.
Per una casa, già un contratto diretto permette una gestione più stretta della relazione a valle, specie se c’è la formalizzazione di un impegno in volume su cui basare la politica commerciale. Un passo più in là, l’accordo di partenariato dà alla relazione casa-rivenditore fondamenta più solide ed un livello di cooperazione più marcato, dove la casa cerca di “mettere in sicurezza” almeno una quota parte del proprio business.
Per di più, dato che le tipologie di rivenditori sono molto varie, spesso le case offrono opzioni di partenariato di livello diverso con contenuti differenti, e lo fanno da tempo sia in forma diretta che indiretta tramite i distributori.
I distributori si muovono anche indipendentemente dalle case per creare reti proprie…
E fanno benissimo, perché l’obiettivo è lo stesso di quello delle case, cioè stabilizzare il più possibile il proprio business attraverso relazioni privilegiate con operatori a valle. I distributori pesano quasi il 70% del mercato sell-in ed hanno capacità di servizio rilevanti: lo sviluppo della loro “impronta” sul territorio deve essere un obiettivo primario.
Quando conviene un partenariato con una casa per un rivenditore?
Dipende dalla tipologia di rivenditore, dalla sua attitudine imprenditoriale, dal contesto competitivo in cui si trova e le ambizioni di sviluppo che ha.
Non conviene ad esempio ad un piccolo rivenditore che basa la competitività sulla sola convenienza di prezzo, non investe in notorietà e identità, ha limitati programmi di sviluppo ed un approccio commerciale tattico al 100%. In questo caso è conveniente correre da solo ed acquistare dai distributori.
Questo è un caso limite e da qui in su le combinazioni possono essere le più articolate. Per un rivenditore, il mix delle fonti di acquisto e, al suo interno, delle forme contrattuali con i fornitori deve essere coerente al massimo con le sue necessità di business, una soluzione alle sue debolezze, un accompagnamento verso lo sviluppo, un sostegno alla redditività.
Quali sono in genere vantaggi ed impegni in un partenariato?
La gamma di condizioni contrattuali dei partenariati è molto ampia, perché va da semplici accordi annuali a forme contrattuali più durature e complesse sotto forma di franchising, che variano anche loro da light, leggeri, ad altri più vincolanti per le parti.
In una logica di equilibrio, quanto più l’accordo proposto al rivenditore è stringente, pluriannuale e con richiesta di impegni, tanto più importanti devono essere i benefici tangibili che ne derivano, e che dovranno venire misurati costantemente nel tempo.
L’impegno chiesto dalle case ai partner può essere in termini di volumi di acquisto, di share of account, cioè la loro percentuale sul potenziale totale del rivenditore, di modalità di sostegno delle marche in sell-out, sino ad arrivare a veri e propri costi come le royalties di franchising.
La contropartita spazia invece in una serie molto ampia di benefici, sia commerciali che in termini di servizi a valore aggiunto. Molti rivenditori prestano grandissima attenzione alla presenza di migliori condizioni commerciali di acquisto ma queste, pur molto importanti, non devono rappresentare l’unico criterio di valutazione di un possibile accordo. Un buon partenariato dovrebbe permettere anche la crescita del rivenditore in termini di professionalità, l’accompagnamento verso una migliore efficacia/efficienza operativa, la costruzione di una identità distintiva.
Ecco allora l’importanza di accordi con le flotte, programmi di formazione, animazioni del sell out, allestimenti del punto di vendita, convenzioni con fornitori di materiali o di servizi necessari all’attività, e così via.
Come valutare concretamente il tutto?
Per iniziare, il rivenditore deve lasciare da parte aspetti “sentimentali” e badare alla concretezza.
Il partenariato deve garantire valore aggiunto, portare benefici al rivenditore: contenuti vaghi, o di cui il rivenditore può fare a meno o ancora che non rispondono alle sue prospettive di sviluppo rendono i benefici di quel partenariato superflui.
In aggiunta, va valutata la capacità di chi propone il partenariato di dare senso di prossimità alla relazione, formando il proprio personale alla gestione dei partner, creando occasioni di incontro e scambio, dando prova di ascoltare le loro istanze. Insomma, vicinanza e presenza costanti in supporto al business del partner.
Di fronte al dubbio di aderire ad un partenariato, il rivenditore può porsi queste domande:
“Ci sono benefici che servono al mio business e che non riuscirei ad ottenere da solo?”
“Questi benefici sono distintivi rispetto ad altri partenariati?”
“Questi benefici sono più consistenti degli impegni e costi che devo prendere in carico?”
Se la risposta alle domande è sempre sì, l’accordo può avere un senso.
Le forme di partenariato sono le più disparate, ce n’è una globalmente migliore?
No, perché ogni rivenditore valuta la migliore per sé. Come quando si compra un abito, bisogna fare attenzione: quello che è comodo, elegante o conveniente per altri, non necessariamente è adatto anche a noi.
pubblicato il 8 / 06 / 2018