“Io, la fotografia e il calendario Pirelli 2017” – conversazione con Peter Lindbergh

Il Calendario Pirelli 2017 è stato realizzato da Peter Lindbergh, uno dei più affermati fotografi a livello internazionale, che con questa edizione diventa l’unico fotografo a essere stato chiamato a firmare il Calendario Pirelli per la terza volta, dopo il 1996 scattato in California nel deserto di El Mirage e il 2002 realizzato negli Studios della Paramount Pictures a Los Angeles. Nel 2014, inoltre, era stato sempre Lindbergh, insieme a Patrick Demarchelier, a realizzare gli scatti celebrativi dei 50 anni del Calendario.

Da quale idea nasce questo Calendario?

Ho voluto utilizzare il Calendario 2017 per difendere un diverso tipo di bellezza. Il sistema attuale propone un unico tipo di bellezza, fortemente collegato alla giovinezza e alla perfezione, poiché è un sistema basato sui consumi. Ma questa idea di bellezza non ha nulla a che fare con la realtà e con le donne. Attraverso il Calendario Pirelli ho quindi voluto trasmettere un altro messaggio, cioè che la bellezza è molto di più di quanto oggi ci propone la pubblicità.

L’obiettivo era quindi quello di ritrarre le donne in modo diverso: l’ho fatto chiamando attrici che hanno avuto nella mia vita un ruolo importante e fotografandole avvicinandomi a loro il più possibile. Già dalle prime fotografie mi sono accorto che funzionava. Penso che sia straordinario guardare persone come Nicole Kidman, che è stata la prima che ho scattato, in modo totalmente diverso. È un’esperienza sensazionale guardare qualcuno che ti guarda attraverso la macchina fotografica e creare con lui un legame diretto, vivendo un’esperienza unica, come mai mi è accaduto prima. Quando Nicole, dopo un’ora o due di shooting, ha detto “non so perché mi sto divertendo così tanto…mai nessuno mi ha fotografato così…mai nessuno ha visto questa parte di me ed è bellissimo” ha sintetizzato l’essenza di ciò che volevo fare con il Calendario Pirelli 2017: volevo ritrarre le donne non attraverso la loro perfezione, ma attraverso la loro sensibilità e le loro emozioni. Per questo ho dato a questa edizione del Calendario il titolo ‘Emotional’: non una perfezione artificiale, ma il mondo reale e le emozioni che sono dietro i volti di queste donne.

Perché il bianco e nero?

UMA_THURMANSe fotografi qualcosa in bianco e nero attribuisci al soggetto una realtà diversa da quella vera del mondo a colori: sei tu a interpretare la realtà mischiando il bianco e nero per ottenere ombre, luci e forme. Penso che il bianco e nero sia la riduzione e la trasformazione della realtà in qualcosa, sia il primo piccolo passo per allontanarsi da qualcosa di normale o di reale verso qualcosa di più interessante, che reale non è.

L’innovazione tecnologica sta influenzando il suo lavoro?

No, perché mi sono difeso. I giovani fotografi di oggi non sanno nemmeno che cosa significa usare una macchina analogica. Conosco molto bene il mondo della pellicola e non desideravo una macchina digitale. Ero perfettamente felice così come era. Poi con il tempo ho imparato che il digitale è fantastico per molti aspetti, a parte due. Il primo è che l’immagine digitale è troppo netta e perde in morbidezza ed emozione. Per questo uso Photoshop per ridurre l’effetto digitale. In secondo luogo, l’aspetto più fastidioso nel lavorare con una macchina digitale è che trasforma lo shooting in uno sforzo collaborativo. Ogni volta che mi trovo di fronte a un soggetto e scatto una foto l’immagine appare su uno schermo nella stanza accanto, con dieci persone che guardano, giudicano e consigliano… Questo modo di fotografare distrugge completamente l’intimità tra il fotografo e il soggetto. Ciò che mi interessa è la relazione con il soggetto, perché è da questo che nascono le belle foto e scattare in digitale mi impedisce di instaurare questo speciale tipo di rapporto.

Il Calendario 2017, come già avvenuto nel 2002, testimonia il suo amore per il cinema. Che rapporto c’è tra fotografia e cinema?

NICOLE_KIDMANÈ legato al concetto di ‘tempo’, che è molto difficile da rendere visibile in fotografia anche se la fotografia è tutta questione di tempo. Perché ferma il tempo. Mi chiedono sempre “perché non vuoi fare film?” e io rispondo che sì, forse vorrei, ma non è la mia preoccupazione principale. Penso che la fotografia sia interessante quanto il cinema perché con un niente puoi rendere visibili moltissime cose. Vedi qualcuno che attraversa la strada: nel cinema non sarebbe nulla, mentre nella fotografia il tempo si ferma in un determinato momento, un momento meraviglioso, strano, molto profondo ed emozionale, nato dal nulla, solo perché il tempo si è fermato. Penso sia questa la caratteristica interessante della fotografia.

Per realizzare il Calendario 2017 ha scattato anche foto nel polo industriale Pirelli di Settimo Torinese. Che cosa l’ha portata in fabbrica?

Tutto è cominciato quando Marco Tronchetti Provera mi ha contattato. “Peter – mi ha detto – siamo un’azienda ‘high-tech’ e vorrei fare qualcosa di innovativo”. La sua idea era quella di introdurre alcuni aspetti tecnologici nel nuovo Calendario e l’ho trovata molto stimolante. Anzi, a dire il vero inizialmente gli ho risposto che l’idea non era realizzabile. Ma poi, parlandogli, le sue argomentazioni erano talmente ricercate e intellettualmente interessanti che mi sono ritrovato coinvolto. Mi ha raccontato il significato delle macchine per lui e per la storia di Pirelli e a quel punto ho trovato l’idea, con tutte le sue implicazioni, davvero molto stimolante. Il giorno dopo sono partito con l’obiettivo di analizzare la cosa e capire come mi sentivo. Dal punto di vista della produzione ho realizzato quasi subito che sarebbe stato impossibile portare le attrici in fabbrica e fotografarle lì. Ho quindi proposto di andare io stesso a fotografare la sola fabbrica, le macchine, i robot, cercando di stabilire un legame ‘emotivo’ con loro, facendoli apparire viventi. Non ero certo che sarei riuscito, ma il risultato è stato davvero molto gratificante e lo è tuttora. Al punto che alla fine abbiamo deciso di separare i percorsi dei due set di scatti e utilizzare quelli della fabbrica per realizzare un progetto autonomo e scisso da quello del Calendario.

Quale è la sua maggiore fonte di ispirazione?

ROBIN_WRIGHTNon ho aree particolari che rappresentano fonti nascoste di creatività. Mi ispira tutto ciò che vedo e prima o poi lo utilizzo per fare qualcosa. Evito di andare alle sfilate. E preferisco utilizzare il tempo delle collezioni in altro modo. Spesso vedo gli abiti negli atelier degli amici, ad esempio oggi ho trascorso la giornata con il mio amico Azzedine Alaïa, con il quale farò un progetto, e mi ha mostrato la sua nuova collezione, con abiti incredibilmente belli. Alcuni giorni fa, discutendo di fotografia di moda, qualcuno mi ha detto: il compito della fotografia di moda è mostrare gli abiti. Questo può essere in parte vero. Ma direi che la fotografia di moda non dovrebbe ridursi a mostrare unicamente gli abiti e ad aiutare l’industria a venderli, ma dovrebbe avere la libertà di esistere in un contesto molto più ampio, più ampio della moda stessa.

Quale è l’aspetto per lei maggiormente creativo?

Penso che la prima domanda sia: dove si trova la creatività? E la seconda sia: in che modo puoi attingervi? E poi: come puoi usarla? Si tratta di temi molto affascinanti, ai quali ho dedicato in passato molto tempo. Alla fine penso che la creatività derivi dalla tua visione del mondo, che in qualche modo rinasce attraverso le tue esperienze. Molte persone hanno creatività, ma non sanno come accedervi. Da quarant’anni pratico la meditazione trascendentale e questo mi ha aiutato molto a capire chi sono e a trovare la mia strada interiore.

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