AIRP pubblica il Libro Bianco dei pneumatici ricostruiti

Mercoledì 22 giugno 2016 a Roma si è tenuta la presentazione del Terzo Libro Bianco sui pneumatici ricostruiti dell’AIRP (Associazione Italiana Ricostruttori Pneumatici), in cui si descrive in dettaglio il contributo della ricostruzione dei pneumatici all’economia circolare.

Di seguito un abstract:

Quando si parla di pneumatici ricostruiti l’immagine che si presenta nella mente di alcuni è probabilmente condizionata da retaggi del passato, che lo fanno percepire semplicemente come un prodotto a basso costo. Niente è più lontano dal vero. Si tratta di un’analisi fuorviante: un pneumatico ricostruito è per sua natura un prodotto basato su componenti di prima qualità, come le carcasse che sono progettate per avere più vite, e che impiega materiali di alta tecnologia e processi omologati.

L’Industria del pneumatico ricostruito, che in Europa inizia ad imporsi già negli Anni ’20, ha un livello di sofisticazione tecnologica molto elevato, che per altro vede tradizionalmente l’Italia in prima fila nella ricerca e nello sviluppo di macchinari, tecnologie e metodologie.

La filiera del ricostruito coinvolge inoltre una gamma di soggetti più ampia di quanto si potrebbe immaginare. Non ci sono infatti solo i grandi produttori ed i rivenditori, ma anche i piccoli e medi ricostruttori, i produttori di materiali e attrezzature per la ricostruzione: un tessuto imprenditoriale che rappresenta una tipicità italiana ed un prezioso patrimonio culturale, oltre che tecnico e professionale. Ci sono poi le aziende di trasporto ed i professionisti. Per le sue caratteristiche intrinseche, dunque, la ricostruzione si è imposta nel tempo come una soluzione particolarmente indicata per le flotte e largamente adottata nella manutenzione ordinaria di veicoli autocarro – anche se di fatto ogni tipo di pneumatico può essere ricostruito, da quello per aerei fino alle automobili. Parlando di “ricostruito” lo specifico segmento dell´autocarro occupa la quasi totalità del mercato. Il mondo dell’autotrasporto ed in generale del lavoro che si muove su ruote (che nel nostro Paese ha un peso enorme numericamente e come volumi di attività) ha un legame stretto e di lunga data con l’Industria del pneumatico ricostruito. È impossibile immaginare che le sorti dell’uno e dell’altro non si condizionino a vicenda. Deve quindi allarmare il fatto che il mercato del ricostruito in Italia, negli ultimi nove anni, abbia perso oltre il 43% nel segmento che concentra la grande maggioranza della produzione, cioè l’autocarro. Un peso decisivo in questo l’ha certamente avuto il prolungato periodo d’impasse vissuto, in questi ultimi anni, dalle aziende italiane dell’autotrasporto. Non si può, tuttavia, ignorare il fatto che il ricostruito soffra, per esempio, la crescente concorrenza dei prodotti nuovi a basso costo, ma “usa-e-getta” in quanto non ricostruibili, che sono immessi sempre più massicciamente sul mercato. Così come pure si rivela determinante la mancanza di una diffusa cultura della ricostruzione, che faccia leva sugli evidenti e comprovati benefici economici ed ambientali, che questa soluzione può garantire, senza per altro dover rinunciare a nulla in termini di affidabilità, prestazioni e sicurezza. Permangono infatti – come dimostra una recente ricerca realizzata da GIPA su un campione di circa 600 aziende – falsi miti per cui un ricostruito sarebbe soprattutto una scelta legata al prezzo e quindi valida solo da questo punto di vista. Non è assolutamente così: dati confermano che partendo da un pneumatico nuovo di comprovata qualità, la cui carcassa è stata progettata e realizzata fin dall’origine per essere rigenerata, la ricostruzione consente di prolungare la vita media del prodotto più volte, il tutto ad un costo contenuto e senza alcun compromesso in termini di qualità. Il pneumatico a basso costo, invece, rappresenta un falso risparmio, non potendo essere oggetto di rigenerazione.

Un pneumatico ricostruito permette dunque di avere prestazioni pressoché analoghe a quelle di uno nuovo ad un prezzo che è riconosciuto essere considerevolmente inferiore. Secondo i dati AIRP (Associazione Italiana Ricostruttori Pneumatici), per il solo anno 2015 si parla di una minor spesa di oltre 69 milioni di euro, calcolata sulla base del delta tra l’acquisto di un pneumatico nuovo rispetto all’opzione della ricostruzione.

Non è poi possibile ignorare i benefici dal punto di vista ambientale che sono a monte ed a valle. Nel processo di ricostruzione si generano, infatti, rispetto alla produzione di un pneumatico nuovo, risparmi considerevoli in termini di energia consumata, anidride carbonica (CO2) emessa e materie prime impiegate. Un report realizzato già nel 2008 da Best Foot Forward (BFR), mettendo a diretto confronta la “carbon footprint” della produzione di un pneumatico nuovo da 17,5” per veicolo commerciale leggero con quella di un analogo ricostruito , mostrava come in quest’ultimo caso ci fosse un saldo particolarmente vantaggioso in termini di emissioni nocive rilasciate, nonché di energia e materie prime consumate. Considerato che la misura presa in considerazione è la più piccola per quanto riguarda lo specifico segmento autocarro, è giusto sottolineare che i benefici rilevati sono proporzionalmente maggiori nel caso di misure superiori.

Si stima che la ricostruzione abbatta le emissioni di CO2 di circa il 30% rispetto alla produzione di un pneumatico nuovo, salvando circa il 70% dei materiali originari del pneumatico. Secondo AIRP, l’Italia risparmia ogni anno in media 107 milioni di litri di petrolio ed oltre 30.000 tonnellate di altre materie prime strategiche come gomma naturale e sintetica, nero fumo, fibre tessili, acciaio e rame. Tutti questi benefici, economici ed ecologici, si vanno a sommare gli uni con gli altri nel tempo e potrebbero aumentare qualora le quote di ricostruito fossero maggiori.

Come detto, i vantaggi dal punto di vista ambientale legati alla ricostruzione sono però anche a valle e sono altrettanto importanti. Ogni anno nell’Unione Europea la sostituzione dei pneumatici degli autoveicoli genera in media 225 milioni di gomme da smaltire, a cui se ne aggiungono diversi milioni derivanti dai veicoli a fine vita. Il problema del loro impatto sull’ambiente è molto serio, perché occorre circa un secolo affinché un pneumatico immesso nell’ambiente si deteriori completamente. In Italia, si producono ogni anno 380.000 tonnellate di pneumatici da smaltire. La gestione dei Pneumatici Fuori Uso (PFU), secondo quanto previsto dalle normative vigenti, comporta non solo un costo economico – il quale viene assorbito dal prezzo di acquisto pagato dal consumatore- ma anche un costo sociale ed ambientale legato ai quantitativi “extra”, vale a dire pneumatici al di fuori dei flussi regolari di vendita che, non essendo coperti dal regolare eco contributo, sono esclusi dai cicli di raccolta e smaltimento e talvolta quindi dispersi nell’ambiente. È stato stimato che sarebbero oltre 4 milioni e mezzo i pneumatici di quest’ultimo tipo. Ogni anno, grazie alla ricostruzione, è possibile evitare l’immissione di oltre 30.000 tonnellate di pneumatici. Allungando la vita media di un pneumatico, la ricostruzione riduce infatti la produzione annuale di PFU.

lb airp

I vantaggi della ricostruzione, però, si realizzano completamente solamente se è stata fatta prioritariamente una scelta di alto livello, acquistando cioè un pneumatico nuovo di qualità, quindi progettato e realizzato anche per poter essere ricostruito, e solo se successivamente questo è stato sottoposto ad un processo di ricostruzione rigidamente realizzato secondo i parametri dettati dai regolamenti ECE ONU 108 (autovetture) e 109 (veicoli commerciali). Una cosa non può prescindere dall’altra, pena la compromissione delle prestazioni, ma anche della sicurezza del pneumatico ricostruito. Purtroppo qui si apre un’ulteriore piaga per il comparto: seppur numericamente poche, le realtà che immettono sul mercato ricostruiti non omologati contribuiscono ad alimentare la falsa convinzione di inaffidabilità del prodotto. L’importante danno d’immagine è comunque ancora poca cosa rispetto ai gravi effetti che questo comportamento può avere in termini di sicurezza. Per questa ragione i controlli sulle omologazioni e contemporaneamente la comunicazione del prodotto sono da considerarsi oggi come priorità per il settore, elementi di una discussione che viaggiano in parallelo e per cui sarebbe importante avere appoggio anche dalle istituzioni.

Ci sono infine riflessioni di più ampio respiro che indicano nella ricostruzione dei pneumatici una soluzione che dovrebbe essere favorita sul mercato. Una delle principali sfide che l’Industria globale si trova a dover affrontare in questo secolo è infatti conciliare sostenibilità economica ed ecologica. Viviamo in un mondo dove l’efficienza produttiva non può più davvero prescindere dall’esigenza di contenere i propri consumi energetici e di materie prime, né ignorare l’impatto sociale ed ambientale della propria attività. In questa visione, si impone oggi a livello internazionale il concetto di economia circolare, vale a dire una logica di produzione industriale votata al completo riuso di un prodotto e delle sue componenti, nonché all’azzeramento dei quantitativi di spreco e scarto. Il settore automobilistico da tempo ha fatto della rigenerazione (o “remanufacturing”) delle proprie componenti una filosofia di azione sempre più diffusa e condivisa. Dal 1941 negli USA e dal 1960 in Europa, le unità rigenerate sono diventate una possibilità sempre più spesso presa in considerazione dai consumatori in fase di manutenzione di automobili, veicoli commerciali ed industriali, soprattutto quando non più nuovi. Le opportunità sono tali per consumatori ed aziende che tutto fa ritenere che questa non possa che essere una tendenza in crescita nei prossimi anni. Tra i componenti automotive che meglio e da più tempo si prestano alla rigenerazione spicca proprio il pneumatico. In largo anticipo su tutti gli altri componenti del settore ed anche rispetto a normative specifiche che oggi favoriscono il riutilizzo delle parti del veicolo (quali la Direttiva 2000/53/EC “EndOf-Life Vehicles Directive”) , da quasi un secolo il pneumatico si offre a queste pratica, proponendosi dunque come una valida alternativa dal punto di vista della sostenibilità non solo economica, ma anche ecologica. Il rischio oggi è che, con il continuo calo delle vendite, questo importante vantaggio si perda e con esso la spinta d’innovazione tecnologica che ha storicamente caratterizzato il comparto, in particolare in Italia. D´altro canto, un enorme spreco di tecnologia si viene a creare a prescindere. Rinunciare alla ricostruzione significa infatti gettare letteralmente in discarica l´elevato contenuto ed il valore tecnologico già presente in un moderno pneumatico di qualità e che sarà ancora maggiore nei pneumatici “intelligenti” di domani.

© riproduzione riservata
made by nodopiano